La dieta si fa contenendo le quantità non la qualità

30 maggio 2013

Riso Patate e Cozze senza Tiella

Mesi ideali per questo piatto: Giugno - Luglio - Agosto - Settembre

Diciamo meglio: Riso Patate e Cozze con la Fantasia e senza Tiella.
Ne abbiamo fatto un Finger Food molto versatile.
Evidentemente questa è una rielaborazione della celeberrima Tiella di Riso Patate e Cozze, che ultimamente stanno massacrando a tutto spiano, in particolare in occasione di un Challenge indetto da qualcuno che preferisco non nominare, non vorrei fare anche pubblicità, dico solo che con Tele Monte Carlo non centra.


Ovviamente facciamo anche abitualmente la ricetta classica e tradizionale, la trovate cliccando qui e questa ne è l'ultima foto



Devo però dire che quest'ultima tradizionale, deve qualcosa alla rivisitazione che illustriamo oggi.

Ingredienti per venti Cozze:
venti Cozze Nere di Taranto di media grandezza - un etto di Riso Arborio Superfino 
mezza Cipolla Bianca Fresca - uno Spicchio d'Aglio Rosso Fresco
almeno dieci generosi cucchiai di Olio Extra Vergine d'Oliva Pugliese
due cucchiai di Mollica di Pane Pugliese grattugiata 
due rametti di Prezzemolo fresco - due o tre Patate medie fresche - due o tre Pomodori Maturi 
quanto basta di Canestrato Pecorino grattugiato, Sale fino e Pepe Nero appena macinato 
due o tre grossi pugni di Sale Grosso - una bustina di colorante per alimenti

La prima operazione da compiere è l'apertura delle Cozze, naturalmente a crudo, trovate qui le istruzioni. Va tolto completamente il frutto, pulita perfettamente una delle due valve e recuperata l'acqua.
Affettiamo le Patate, dovremo ottenere almeno venti sfoglie sottili e dell'ampiezza che ognuna copra una cozza. Le mettiamo in acqua perché non anneriscano.
Passiamo alla preparazione di una salsa con metà dell'acqua delle Cozze, due terzi dell'olio, l'Aglio grattugiato, la Cipolla tritata finemente, i Pomodori ridotti in concassé minuta e scolata, parte del Prezzemolo tritatissimo, un pizzichino di Sale fino ed abbondante Pepe Nero appena macinato fino, lasciamola a riposare ed insaporirsi. Ne prendiamo qualche cucchiaio e condiamo le Cozze già pulite. 
Prepariamo ora un Riso Pilaf. Dobbiamo avere avuto l'accortezza di mettere da parte un po' d'Aglio grattugiato e Cipolla tritata, che metteremo a soffriggere con Olio Evo in un tegame o terrina adatti al forno e con possibilità d'essere ben coperta, appena imbiondita versiamo il Riso, lo tostiamo ed aggiungiamo la salsa, mettendone da parte qualche cucchiaio, ed immediatamente la restante acqua delle cozze e acqua di rubinetto per un totale complessivo di 200 cc, in effetti il doppio in peso del riso, portata ad ebollizione. Rimestiamo, vi adagiamo le venti sfoglie di patata, copriamo ed inforniamo a 190°C circa per non più di un quarto d'ora, il tempo necessario ad una giusta cottura delle patate ma che lascerà il riso molto al dente. Il riso pilaf richiederebbe generalmente venti minuti ma, nel nostro caso, questo riso subirà ancora un'altra infornata. Uscito dal forno lo spolvereremo e amalgameremo con il Pecorino.
Nel frattempo coloriamo opportunamente il sale, dovrà dare l'impressione d'essere il mare, speriamo d'esservi riusciti, assolverà anche alla funzione di tenere nella giusta posizione le cozze assemblate, lasciandovele affondare un pochino, prima d'infornarle, si conserverà così un pochino di liquido nel mezzo guscio.
Aiutandoci con due cucchiai facciamo delle polpette di riso al cui interno mettiamo una cozza cruda, già questo calore sarà sufficiente a dargli una iniziale cottura. 
Sistemiamo a copertura di ogni cozza una fetta di patata, la condiremo con un un pochino di salsa, messo da parte, spolvereremo con la mollica di pane mischiata con il pecorino grattugiato.
Inforniamo per non più di sette o otto minuti e possiamo anche servire aspettando che si intiepidiscano prima di consumarle, visto che di ognuna si dovrà fare un boccone.


   



29 maggio 2013

Mandilli de Saea al Pesto in forno

Mesi ideali per questo piatto: Aprile - Maggio - Giugno - Luglio

I Mandilli de Saea sono delle lasagne sottilissime, Fazzoletti di Seta appunto. Il nome parrebbe essere giunto in Liguria dalla vicina Catalogna, che lo adottò dalla dominazione araba. Se andiamo però ad approfondire, ci renderemo conto che gli arabi, a loro volta, acquisirono questo vocabolo dalla Grecia antica, questi dicevano Μανδειλον, cioè Mandeilon.
Gli arabi ebbero nei confronti dell'Antica Grecia una grande cura della cultura letteraria, nonché scientifica e filosofica, la studiarono, approfondirono, conservarono e ridistribuirono nel bacino mediterraneo, anche sulla sponda europea. L'Europa ne aveva perso quasi del tutto memoria e soprattutto divulgazione nel periodo relativamente buio del Medio Evo, pervaso dall'oscurantismo religioso del Cristianesimo, che per affermarsi, fece spesso violenza negando, proibendo e disperdendo tutto il sapere precedente.
Corsi e ricorsi storici, ora toccherebbe a noi fare altrettanto con i talebani ma lo stiamo facendo molto malamente, favorendone lo sviluppo di ciò che c'è di peggio, con il ricorso alla repressione.

Ritorniamo nel nostro ambito, occupiamoci di cibo. A Genova e dintorni i Mandilli si preparano generalmente con Pesto alla Genovese, patate e fagiolini lessi. Noi abbiamo voluto complicarci la vita, mettendoli anche in forno con aggiunta di besciamella quasi dietetica, però.


Ingredienti per quattro o cinque commensali:
Per la pasta
un quarto di Farina 0 - due tuorli d'uovo - un cucchiaio di Olio EVO 
un pizzico di sale fino - quanto basta d'acqua

Per la besciamella
trentacinque centimetri cubici di Olio EVO - mezzo etto di Farina 00 
un litro di latte intero fresco - quanto basta di sale
un cucchiaio di Pecorino Canestrato Pugliese - due cucchiai di Grana Padano
una grattatina di Noce Moscate - una generosa spolverata di Pepe Nero appena macinato

Per il Pesto
mezzo etto di foglie piccole di Basilico fresco - due o tre spicchi di Aglio Rosso fresco 
un pizzicone di Sale Grosso - due cucchiai di Pinoli - cinque o sei cucchiai di Olio EVO 
un cucchiaio di Pecorino Canestrato Pugliese - due cucchiai di Grana Padano

Per l'assemblaggio della Pasta
un cucchiaio di Olio EVO - due grosse Patate - un quarto di Fagiolini freschi
qualche fiore di zucchina 
un cucchiaio di Pecorino Canestrato Pugliese - due cucchiai di Grana Padano

La prima operazione è stata la preparazione della pasta, con l'abituale sistema abbiamo ottenuto un impasto consistente e setoso, grazie ai soli rossi d'uovo ed all'olio, poi messo a riposare per una mezz'oretta, avvolto in una pellicola per evitare la secchezza superficiale.
Nel frattempo abbiamo raccolto il Basilico freschissimo sul nostro terrazzo, tagliando le cime centrali alle biforcazioni per consentirne che rispuntino nuove e tenere cime, abbiamo scartato le foglie ormai eccessivamente grandi, lavato e messo ad asciugare le prescelte. Il basilico secondo i puristi non andrebbe lavato, io stesso, se so dal giorno prima di dovere fare il pesto lo innaffio a pioggia abbondantemente la sera prima tardissimo, la notte insomma, e la mattina lo raccolgo presto, prima che ci sia troppo movimento.

Mentre il basilico si asciuga stendiamo la pasta, ottenendo delle fasce, portate poi allo spessore desiderata utilizzando la classica macchinetta. Solitamente questa operazione Rita la fa con il mattarello ma, volendo ottenere uno spessore ultra sottile ed uniforme, per andare sul sicuro siamo ricorsi alla tecnologia. Il risultato è stato notevolissimo, lo potete constatare sulla foto. La evidente trasparenza vi mostra a quale livello ci siamo spinti.
Lasciata questa pasta, dei veri Mantilli de Saea, adagiata su una tovaglia e cosparsa leggermente di Semola rimacinata perché s'asciugasse un pochino, siamo passati a preparare il Pesto, secondo il metodo classico, nell'apposito mortaio seguendo la tecnica e la ricetta qui riportati.
Per la Besciamella, che abbiamo voluto fare a basso tenore di Colesterolo, normalmente servirebbe mezz'etto di burro, si è iniziato con lo scaldare leggermente l'Olio Extra Vergine di Oliva in una pentola che potesse contenere anche il litro di latte, che si sta nel frattempo intiepidendo; all'olio tiepido si è aggiunta la farina tutt'insieme, mescolando per tostarla leggermente e formando quello che si definisce un Rhu, cioè un impasto adatto ad inspessire eventuali salse. Aggiungendo lentamente il latte tiepido, senza smettere di mescolare per una ventina di minuti, senza far mai bollire, si ottiene una  fluida e setosa Besciamella, che, salata, impepata e spolverata di Noce Moscata, lasciamo a freddare. Vi si è poi miscelato ben bene il Pesto e una parte dei formaggi grattugiati, abbiamo aggiunto anche un mestolo d'acqua di cottura per avere la giusta densità, coprente ma facile da distribuire uniformemente.
Intanto si sono anche bollite le patate ridotte a tocchetti, i fagiolini tagliati a pezzetti e alcuni fiori di zucchina pronti in terrazzo, pochi per farne qualche altra cosa ma utili ad arricchire questo magnifico piatto. Patate, Fagiolini e Fiori sono stati bolliti separatamente nella stessa acqua moderatamente salata, gli ultimi due, appena cotti, sono stati tuffati in acqua fredda per fermarne la cottura ed il colore. La stessa acqua è servita poi a bollire per non più di due minuti la leggerissima pasta fresca, immergendovela a qualche sfoglia per volta, all'occorrenza e ponendola su una tovaglia ben distesa ad asciugare.

Unta con un cucchiaio di Olio, la terrina è stata foderata con il primo degli otto o dieci strati di pasta, su ognuno di questi s'è distribuita uniformemente con rotazioni della teglia la Besciamella, seguita da qualche tocchetto di patata e qualche pezzetto di fagiolino, ai fiori abbiamo destinato lo strato centrale. L'assemblaggio è terminato con Besciamella e Formaggi.
I Mandilli de Saea hanno cotto al piano basso del forno a 180°C per una ventina di minuti, poi sono stati sottoposti al grill, restando sempre bassi, sfornandoli appena hanno accennato la deliziosa doratura.
Ditemi se non è bellissima e il profumo? non potete immaginare o si?









24 maggio 2013

Mozzarella in Carrozza

Quanto sono buoni i fritti! Fanno male? ma si dai una volta tanto, ma quella volta!
Questa volta ho approfittato dell'assenza di mia moglie, doveva venire a pranzo mia figlia, ho fatto la spesa giusta, giusto qualcosa di più, una mozzarella può sempre cadere. All'ultimo momento mia figlia ha dato forfait, che fare? tanta buona roba la potevo buttarla via?

Dosi per un commensale non affamato ma col desiderio di Mozzarelle in Carrozza da un sacco di tempo, peggio!
un quarto di Mozzarella di eccellente qualità - due Acciughe sottosale fatte in casa 
un uovo intero - un piattino pieno di Pangrattato 
quattro belle fette di Pane Pugliese del giorno prima
quanto basta di Sale e Pepe - Olio di Oliva per friggere


Precisamente come mozzarella ho optato per una treccia che è più asciutta, che bagnasse un pochino il pane ma non troppo, l'ho tagliata a fette sottili ed il più grandi possibili.
Come pane ho utilizzato Pane di Semola di Grano duro del giorno prima, lasciato all'aria perché si asciugasse, deve assorbire il latticello della mozzarella e, ancor più, l'uovo in maniera di farsi rivestire ben bene dal Pangrattato, anche questo, fatto in casa con lo stesso pane di quasi una settimana.
Ho spinato le acciughe, che non sono molte perché, queste, che sono considerate una variante, le ho utilizzate per solo la metà della preparazione. Le Acciughe sono le solite preparate in casa con la ricetta che troverete cliccando qui.
Rotto l'uovo in un piatto l'ho sbattuto con sale e pepe.
A questo punto, anche l'olio si sta scaldando in padella, tutto è pronto si può iniziare.

Una fetta di pane, ben ricoperta di fette di Mozzarella, accoglie due filetti d'acciuga, ben allineati, segue un secondo strato di mozzarella ed una seconda fetta di pane.
Come detto la seconda "Carrozza" l'ho confezionata senza acciuga.









Si passa ora alla legatura con un filo piuttosto doppio. Oggi è facile avere in casa lo spago apposito da cucina, un tempo si ricorreva all'impastire, cioè quel filo grossolano di cotone incolore, che i sarti utilizzano per fermare le confezioni e fare le prove. Questo filo, raddoppiato e quadruplicato è eccellente per questi usi. Indovinate cosa ho usato io, che avevo entrambi? . . . esatto!
Si procede facendo una semplice legatura tipo pacchetto.

I pacchetti si passano adesso nell'uovo sbattuto, lasciandoveli un pochino perché si impregni bene il pane. Se l'uovo è piccolo se ne possono usare due, questa fase non deve essere tirchia, l'uovo, eventualmente si può anche allungare con un pochino di latte, senza esagerare, la bagna deve risultare ben coprente, e il tutto non deve assumere un sapore dolciastro di latte, che potrebbe non essere gradito, in questo caso aumentare sale e pepe. 

Dopo l'uovo si passano nel Pangrattato con accortezza facendolo aderire anche ai lati in maniera da sigillare bene il pacchetto e rendere difficile la fuoriuscita della Mozzarella, che non deve insomma scendere dalla carrozza. 







Ora si passa a friggere in olio caldo ma non troppo, neanche troppo poco. Come sempre la frittura deve avvenire alla temperatura giusta in maniera che la cottura arrivi anche all'interno, in questo caso deve far ammorbidire e molto la mozzarella. Una alta temperatura farebbe cuocere il pane ma lascerebbe la mozzarella solida, per questo l'olio deve essere in quantità tale da lambirla. Ovviamente al momento giusto va rigirato e quanto il tutto è ben dorato alzarlo e metterlo a colare in un colapasta. Per le fritture non amiamo assolutamente l'uso della carta assorbente anzi la sconsigliamo. La carta fa condensa e la frittura s'ammoscia. Ci ispiriamo a cosa usano i maestri delle friggitorie, sono dotati di attrezzi simili a colapasta di rete ed imbuti molto larghi che consentono anche il recupero dell'olio.


Abbiamo gustato questa magnificenza della cucina partenopea "e parte Napoletana", come diceva il magnifico Totò, con un freschissimo finocchio, che ha ben ripulito la bocca dal fritto, ed un bel bicchiere di vino rosso, si rosso a noi quello piace.

22 maggio 2013

Macco di Fave Fresche

Mesi ideali per questo piatto: Aprile - Maggio

I siciliani ed anche i calabresi, a quanto ho recentemente appreso, legittimi detentori del marchio, mi scuseranno ma, amante delle fave sotto ogni forma, sentito parlare dell'esistenza di questa preparazione, non ho saputo resistere. Mi sono informato un pochino in giro, ho trovato molto materiale con innumerevoli varianti, come spesso succede per tante ricette tradizionali. Ho tratto quello che ho creduto più confacente ai miei gusti ed ho proceduto, facendo una versione personale, che mi ha molto soddisfatto. Saranno graditi suggerimenti e critiche.


Ingredienti per quattro commensali:
sei o sette chilogrammi di fave fresche da cuocere - due grossi cipollotti rossi freschi 
due o tre piante di Finocchietto selvatico - un cucchiaio di Conserva di Pomodoro
otto o dieci cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva 
quanto basta di Pepe Nero macinato e Sale Grosso

Innanzitutto occorre preparare un'acqua profumata di Finocchietto Selvatico, noi abbiamo usato questo ma potrebbe essere facilmente sostituito da piantine di finocchio, sicuramente meno e diversamente profumate ma decisamente di più facile reperibilità, abbiamo conservato alcune cimette per guarnizione ed il resto l'abbiamo messo a bollire in acqua fredda.
Le fave per questa preparazione devono essere quelle decisamente da cuocere piuttosto dure con baccello ancora verde vivo ma con la pellicina tendente al chiaro e con il segno del nasello che comincia ad annerire o è nero. Si puliscono anche dalla pellicina, per facilitare l'operazione si possono sbollentare. E' questo il motivo della quantità occorrente, che di primo acchito potrebbe apparire esagerata, dopo la doppia pulitura resta proprio poca roba. Intanto prepariamo, possibilmente in terrina, un soffritto dolcissimo con metà dell'olio e i cipollotti, affettati sottilmente, conservandone alcuni anelli per la guarnizione. 
Quando le cipolle cominceranno a caramellare versare le fave, rimestarle perché si insaporiscano ed asciughino, coprire con qualche mestolo d'acqua profumata di finocchietto in ebollizione. Portare ad ebollizione, poi lasciare cuocere dolcemente a fiamma bassa e coperchio semichiuso, senza lasciare asciugare mai del tutto, aggiungendo acqua di finocchietto all'occorrenza, rimestando di sovente e con vigore per facilitare il naturale disfacimento. Quando questo inizierà, aggiungere un cucchiaio di Conserva di Pomodoro, noi la prepariamo in casa con il metodo a cui accederete cliccando sul nome, in mancanza va bene un concentrato di buona qualità.
Alla fine quando le fave risulteranno quasi del tutto disfatte, salare, pepare e con una vigorosa rimestata favorirne l'ulteriore disfacimento, noi abbiamo utilizzato il semplice cucchiaio di legno con il metodo che utilizziamo abitualmente per le fave secche, cliccando qui lo potrete vedere; volendo si può tranquillamente fare lo stesso con un frullatore ad immersione. Noi preferiamo il metodo tradizionale anche perché io avverto facilmente il sapore dell'acciaio e poi ci piace così, con un risultato non perfetto, i pezzettini che restano, ma non troppo, aggiungono qualcosa, vi consigliamo di fare altrettanto. Nella preparazione finale ci siamo lasciati prendere la mano dalle abitudini pugliesi di "lavorare" le fave con il cucchiaio a mo' di frullatore, in effetti, se Macco si chiama Macco deve essere quindi la lavorazione finale corretta è: quando la fave saranno ben cotte, tendenti al disfacimento, ammaccarle con il cucchiaio di legno, finendone il disfacimento con lo schiacciamento. Se ne deduce, che, mentre noi pugliesi cuociamo le fave, come tutti i legumi in pentole alte, anzi la tradizione vuole l'uso del Pignatello, i Pgnatidd, una sorta di anfora dalla bocca grande, i siciliani per consentire l'ammaccamento devono cuocere in larghi tegami. Devo però dire che la nostra tecnica, incamerando aria, conferisce leggerezza e soavità. Si vede che noi siamo del nord e le "cose" siciliane cerchiamo d'alleggerirle.
Mettiamo nei piatti, sicuramente fondi, meglio ancora delle coppette, guarnendo, sicuramente meglio di noi, con cipolla, le punte tenere del finocchietto crudo, per sola guarnizione, sbollentato e subito ghiacciato, volendolo, giustamente, mangiare, il giusto pepe appena macinato, secondo i gusti, ed un generoso filo d'olio.

18 maggio 2013

Tagliatelle con Cozze Selvagge e Polpo Arricciato

Mesi ideali per questo piatto: Agosto - Settembre

Nel pieno dell'estate è il tempo migliore, fermi pesca permettendo, per gustare sia i Polipetti che le Cozze Nere. I Polpi sono ancora piccolini, uno o due etti, e le Cozze sono belle piene senza essere "allattmat", come si dice a Taranto, piene di lattume, che ne altera il gusto anche se a tanti non dispiace, anzi. 


I Polpi per le loro dimensioni possono essere facilmente trattati per ammorbidirli anche in casa, senza ricorrere alla tecnica di qualche ora in frigo, che comunque finisce per togliere freschezza. La cosa non si avverte molto in animali al di sopra del chilo, per quanto anche questi se sbattuti e battuti sono comunque meglio.
A Bari esiste la tecnica dell'arricciamento, è qualcosa di straordinario, li rende croccanti e gustosissimi da mangiare anche crudi. Clicca qui per ulteriori notizie e tecniche.
Senza arrivare a tali livelli di raffinatezza, del resto non necessaria se destinati a cottura, basta sbatterli su una superficie dura e batterli con un bastone, meglio se piatto, finché non si ottiene un buon allungamento e rilassamento. Quelli di questo piatto in realtà sono stati anche arricciati con la tecnica suddetta ma solo perché avanzati alla scorpacciata da crudi, unicamente per un acquisto "eccessivo assai". Anche per le Cozze in questo caso s'è trattato di particolari, essendo selvagge, cioè di scoglio, il che le rende più saporite e solo leggermente più dure e spesso più salate, ma non è indispensabile alla riuscita del piatto, delle cozze di normale provenienza danno quasi gli stessi risultati, quasi però.

 

Ingredienti per i soliti quattro commensali:
un chilogrammo di Cozze Selvagge - due o tre Polpi arricciati per un totale di tre etti circa 
tre etti di Pomodori maturi di stagione - due grossi spicchi di Aglio - una cipolla dorata media 
un Peperoncino -un ciuffo di Prezzemolo - otto o dieci cucchiai di Olio Evo
un etto e mezzo di semola rimacinata di grano duro - un etto e mezzo di farina 0
due uova intere - due cucchiai di Olio Evo - un pizzico di sale fino per la pasta 
 quanto ne basta di sale grosso per l'acqua della pasta 

Fatto l'impasto della pasta, mentre il panetto riposa ci dedichiamo all'ammorbidimento dei Polpi, che vi ricordo troverete cliccando qui, tralasciando l'arrizzamento con cullamento, ed alla pulizia delle Cozze, particolarmente vigorosa per alcune che dovranno essere di guarnizione con il loro bel guscio. Le altre, dovendo essere sgusciate, basterà che l'acqua di risciacquo risulti quasi limpida per essere pronti ad aprirle con la tecnica che troverete cliccando qui.
Stendiamo la sfoglia ad uno spessore non eccessivo e la lasciamo ad asciugare un pochino, mentre mettiamo a scaldare con fornello a fiamma di candela l'olio in padella con dentro l'Aglio a fettine, due o tre frasche di Prezzemolo con i gambi ed il Peperoncino spezzato. Aspettiamo pazientemente che l'aglio cominci a colorarsi e a questo punto aggiungiamo la cipolla, finemente tritata, i polipetti tagliati separando la testa dai tentacoli e i Pomodori tagliati in quattro o sei pezzi. Copriamo per consentire ai polpi di cedere la loro acqua. O Vurp adda ccocere int'a'all'acqua soja stessa, dicono a Napoli e non sbagliano affatto. Per questo la fiamma sarà stata alzata ed al bollore riabbassata per una cottura lenta, continua ed a temperatura non di ebollizione.
Nel frattempo arrotoliamo la sfoglia e tagliamo le nostre tagliatelle piuttosto larghe.
Se il polpo, saggiato con una forchetta, è cotto, sia pure molto al dente, lo alziamo e lo riduciamo a pezzi più piccoli, adatti ad essere catturati in una forchettata ma lasciando i tentacoli, che si sono graziosamente arricciati, ben riconoscibili. Togliamo anche la frasca di prezzemolo e ragioniamo sulla piccantezza e se è il caso di lasciare ancora i pezzi di peperoncino. Facciamo tornare a condimento l'intingolo, ne saggiamo la sapidità ed incominciamo ad aggiungere la preziosissima, non mi stancherò mai di ripeterlo, acqua delle cozze. Poca per volta facendo ritornare l'ebollizione e saggiando per non eccedere in salinità. Quest'acqua è notoriamente salata ma lo è anche quella emessa dal polpo e non dimentichiamo che altro sale apporteranno le cozze sia chiuse che aperte. La salsa deve risultare moderatamente densa alla fine di questa operazione.
Nel frattempo abbiamo buttato la pasta e salato l'acqua.
E' il momento di aggiungere alla salsa il polpo tagliato, le cozze chiuse e quelle aperte, in questo ordine ed aspettando che ad ogni passaggio, torni l'ebollizioni e le cozze chiuse si aprano. Appena tutto ciò è accaduto e la pasta è tutta salita a galla, la scoliamo e la passiamo nella salsa. Una scrollatina vigorosa sarà sufficiente a completare l'opera. Non resta che impiattare e cospargere di Prezzemolo tritato grossolanamente.


7 maggio 2013

Pasta col Pesce alla Marinara

Mesi ideali per questo piatto: Tutto l'anno

Questo è un modo molto tarantino di preparare con il pesce un ottimo primo piatto ed un eccellente secondo. Spesso si tende a privilegiare l'uno a discapito dell'altro. Per avere una salsa saporita, adatta a condire la pasta, si sacrifica il pesce, che si disfa, cuocendo troppo e rischiando anche di lasciare pericolosi residui. Al contrario per non correr rischi di spine nella pasta ed avere un pesce ancora ottimo per il secondo, si fa cuocere il minimo indispensabile la zuppa, ricavandone poco gusto.
Con un intingolo piuttosto brodoso di questa salsa, che a Taranto chiamiamo "Marinara" o meglio "alla Marinara" si può trattare meglio il pesce anche se minuto, delicato e non di eccelsa qualità, non intendendo mai con questo "non eccezionalmente fresco", anzi.
Scorfano, Lappanella, Gallinella, Lappanella, Sparo, trancio di Grongo
Lappanelle, Donzelle, Mustela, Seppie
Si può transigere su tutto, sull'abbinamento, le quantità o le qualità, ma mai assolutamente sull'indubbia freschezza. E' questo il "segreto" del tutto. In tutto l'anno si trovano le specie adatte, accontentandosi di quel che si trova, affidandosi alla maestria dei pescivendoli nel metterli insieme. La regola generale? Provate a toccarlo questo pesce, deve avere una caratteristica che solitamente si rifugge in tantissime cose ed occasioni, deve essere viscido, annusandovi le dita, non dovrete avvertire altro che odore, dico "odore", di mare, e poi deve essere sodo e ben teso e, occorre dirlo? occhio vivido e sporgente.
Sostengo che quanta più gente c'è, in grado di capire la bontà di questi miscugli, tanto più c'è poco da dubitare della sua freschezza, perché finisce sempre in giornata e non se ne fanno delle grandi pescate. Bisogna però alzarsi presto la mattina e conoscere bene l'orario dell'arrivo del pesce al mercato. Bisogna anche imparare a pulirlo questo pesce, per le sue dimensioni, per il basso prezzo, ben difficilmente il pescivendolo sarà disposto a pulirlo. Non è difficile (trovate alcuni ragguagli cliccando qui), basta individuare con un coltello o delle forbici appuntite l'orifizio anale e tagliare verso su la pancia, fino ad arrivare quasi alla gola, infilare un dito e portar via tutto ciò che viene facilmente, una rapidissima sciacquata, poco altrimenti portiamo via quel bel sapore e profumo di mare. Attenzione ad individuare quei pesci con squame, vanno tolte, e quelli con aculei velenosi, come scorfano e tracina, vanno tolti anche quelli, ma basta, non fatevi prendere dalla frenesia di tagliare pinne o code e altre propaggini dorsali e ventrali, men che meno le teste, finireste per storpiare inutilmente i poveri pesci, rendendoli più facili al disfacimento in cottura, nel caso delle teste perdereste parti saporitissime, altrimenti perché gli intenditori si buttano tutti a succhiarle voracemente, e perdereste un importante segnale di raggiunta giusta cottura nelle pinne che al momento giusto si rizzano e gli occhi che diventano bianchi.

Veniamo ora alla ricetta vera e propria con gli ingredienti necessari per quattro o cinque commensali di appetito normale:

un chilogrammo circa di Pesce Misto da Zuppa
una quindicina cucchiai di Olio Extra Vergine di Oliva - tre o quattro spicchi d'Aglio
quattro o cinque rametti di Prezzemolo - un Peperoncino
tre o quattro etti di Pomodori maturati naturalmente
quanto basta di Sale Grosso ed eventualmente Pepe Nero
un mezzo chilo circa di Spaghetti o Linguine

Dopo aver pulito il pesce, mettere Olio, Aglio affettato e uno o due rami di Prezzemolo in una casseruola molto ampia, va benissimo anche una teglia dai bordi alti. La quantità sembrerebbe eccessiva ma non dimentichiamo che stiamo facendo un primo ed un secondo, la salsa deve restare per condire e tenere a caldo e umido il pesce. Porre la casseruola su un fornello dalla fiamma bassissima. L'aglio deve raggiungere una colorazione decisa lentissimamente, senza assumere un sapore e, men che meno, un odore di bruciato. Il prezzemolo si deve incartapecorire, senza disfarsi, sarà così poi facile toglierlo. Noi non lo facciamo ma, se credete, anche l'aglio potrà essere tolto del tutto o in parte, avrà ormai dato tutto o quasi e gran danno non farete.
A questo punto aggiungiamo il Peperoncino, che non abbiamo messo prima per non dare un gusto forte al soffritto, così darà solo un delicato pizzicore. L'aggiungiamo insieme ai Pomodori, che come ho detto devono essere maturati al naturale, questo è possibile per i soli mesi di Giugno, se pure, Luglio, Agosto e Settembre, tutti gli altri mesi è bene usare pelati o pomodori conservati, possibilmente in casa, come facciamo noi, o comunque di eccellente qualità; dei pomodori acidi e malfatti rovinerebbero tutto, peggio di peggio degli sciapi e scialbi frutti di serra, acidi o dolci come marmellata senza assolutamente il sapore del pomodoro. 
I pomodori sono solo tagliati in quattro per favorirne il disfacimento, per questo insieme mettiamo anche qualche mestolo d'acqua calda, prelevandola dalla pentola della pasta, che nel frattempo è prossima all'ebollizione. Saliamo moderatamente, il pesce, se veramente fresco e non è stato lavato inveendo troppo, ha conservato una certa sapidità marina.
Quando l'intingolo sarà amalgamato, cominceremo ad aggiungere il pesce in ordine di consistenza e grandezza. Prima di tutto seppie o eventuali calamari, questi per la verità andrebbero soffritti, come anche dei crostacei, esclusi gamberi e simili, e non sono adattissimi a questa preparazione, ma tutto si può fare, quindi scorfani, murene e gallinelle, seguono lappanelle, donzelle e mustele, quasi in ultimo eventuali oratine, lutrini, saraghini, ecc.... alla fine, se ce ne sono, eventuali cozze, vongole e simili.

Ogni pesce va adagiato e rigirato, in una salsa brodosa che arrivi quasi a coprirlo. Questo lo si ottiene aggiungendone ma non troppo. Il pesce non deve mai sovrapporsi o venire eccessivamente a contatto. Appena il suo occhio diventa bianco, al minimo accenno di pelle che si lacera o di pinna che viene via facilmente, si solleva e si mette in un piatto con un pochino di salsa. Preferiamo cuocerlo poco alla volta con fiamma bassa e pentola coperta; solo quando avremo finito passiamo a buttare la pasta.
Per la pasta abbiamo suggerito due classici che non vi sgomentino, spaghetti o linguine, però il vero vecchio tarantino in questo intingolo brodoso preferisce la pastina piccola da brodo: Rosmarina, Tubettini piccoli piccoli, spaghetti e linquine si ma . . . spezzati. Un vecchio detto recita: Dove c'è gusto non c'è perdenza.
La pasta, cotta quasi del tutto in acqua salata, si finisce di cuocere nella salsa e si serve con una spolverata di Pepe Nero appena macinato e di Prezzemolo appena tritato.
Mangiato il primo piatto è pronto anche il secondo, il pesce è pronto, tenuto al caldo in  un pochino della sua salsa. Solitamente questo lo si serve tal quale, se però non si è acquistato solo pesce pressoché di scarto, una buona parte si può spinare e servire coperto della sua deliziosa salsina.

Questa ricetta calda e confortevole, fatta con pesce, che, preso singolarmente,  ha scarso o nullo valore commerciale, deriva probabilmente dall'abitudine dei "Padroni di Barca" di dividere tra i lavoranti "u funn da rezz", il fondo della rete, tutti i rimasugli del pescato, dove si trovava di tutto. Allora a casa li aspettava un tegame pronto ad accogliere quel che c'era e se non c'era? Pasta con il Pesce Volante o con il Pesce a Mare (cliccare per ricetta).
U funn da rezz era anche lasciato ai "casuali aiutanti" che i pescatori trovavano sempre sulle spiagge quando faticosamente tiravano la sciabica, una rete a circuizione che una barca, generalmente piccolina, individuato un banco di pesci vicino alla riva, posava rapidamente. Un capo veniva lasciato ad un pescatore a terra e l'altro vi tornava, quindi da riva si ritirava il più rapidamente possibile mentre i pesci più furbi saltavano fuori. Gli aiutanti erano quindi molto graditi, questa era gente che sostava nei posti dove erano abituali le sciabicate e cercavano così di guadagnarsi un pochino di, sia pure misero, pesce, che rendesse meno povera la cena.

5 maggio 2013

Pasta con le Telline

Mesi ideali per questo piatto: Maggio - Giugno - Luglio - Agosto

Molti ricordi della mia infanzia e gioventù sono legati alla Tellina. Questo è forse il più piccolo dei frutti di mare comunemente commestibile, sarà per questo, sarà per la facilità di raccolta, sarà per tutto questo che il prezzo, una volta, era bassissimo ed allora è considerato un prodotto umile e reietto che pochi acquistano quelle rare volte che viene proposto.

Quand'ero bambino, parliamo degli ultimi anni 50 o primi 60, durante la stagione calda, spesso passava per le strade del mio quartiere, il famigerato Tamburi di Taranto, quello che spesso era l'ultimo degli ambulanti della giornata, dopo di lui ci poteva solo essere il pastore che, accompagnato dal suo piccolo gregge di capre, ne vendeva il latte mungendolo al momento.
Questo era il raccoglitore di telline, portava, attaccato con una logora corda alla canna della bicicletta, il suo attrezzo da lavoro, un rastrello, grezzamente costruito, recante attaccata una rattoppata rete. Trascinando il rastrello, muovendolo sapientemente su e giù nell'acqua alle ginocchia, scavava nella sabbia quel giusto che serviva a raccogliere le telline facendole recuperare dalla rete, che magistralmente legata, seguiva il rastrello. Sul portabagagli della bicicletta aveva una vasca oblunga di ferro, quelle che venivano solitamente usate per il bagnetto dei neonati, dentro portava il frutto della sua dura fatica d'una intera giornata. Per poche decine di lire vendeva "Na buatt d' Tellin, menza lir", no, non era francese, urlava in tarantino, promettendo uno scatolo, na buatt, quello piccolo da salsa, pieno di telline, per cinquanta lire, menza lir, non essendo mai arrivata la Lira Leggera anzi leggerissima nel dialetto tarantino, " 'na lir" era Cento Lire, "menz", metà era . . .
Con cinquanta o cento lire si poteva preparare un ottimo condimento per la pasta o un secondo, accompagnato da molto pane, che richiedeva anche molto tempo per essere mangiato, al limite era anche un passatempo. 
Quando poi andavamo al mare seguendo la strada che da Taranto raggiungeva la Calabria, la famigerata ss 106, trovavamo una spiaggia di decine e decine di chilometri, interrotta soltanto dalle foci dei vari fiumi, che dalla Murgia, prima, e dall'Appennino Lucano, poi, si buttano nel Golfo di Taranto. Svoltando per una delle tante strade a sinistra si arrivava al mare, superati i campi coltivati ad ogni ben di dio, essendo la zona ricchissima d'acqua, scavalcata la ferrovia, che con un unico binario di una linea non elettrificata, raggiungeva la Basilicata, la Calabria e quindi la Sicilia, in poche parole un terzo d'Italia Meridionale, dovevamo anche superare la rigogliosissima e profumatissima macchia mediterranea, che minacciava le formose e carezzevoli dune in cui s'affondava, finalmente raggiungevamo un mare limpido, basso per molte decine di metri; tranquillità per le madri e piscina facilmente abbordabile per muovere le prime bracciate in tranquillità. Mentre si prendeva il sole sul bagnasciuga, lasciandosi rinfrescare le gambe ed il fondo schiena dalla risacca, scavando appena nella sabbia con le mani nude, si faceva facilmente una sufficiente raccolta di telline pur mangiucchiandone in abbondanza, come si faceva a resistere. Si tornava così spesso a casa con un buon condimento per gli spaghetti del giorno dopo riposti in una bottiglia o un barattolo.


Ingredienti per Rita & Mimmo:
mezzo chilo di Telline vive in abbondante acqua di mare
sei o otto cucchiai di Olio EVO - due spicchi d'Aglio freschissimo
quattro rami di Prezzemolo - quattro Pomodorini Regina conservati
quanto basta di Pepe Nero e Sale Grosso

Le Telline vanno acquistate il giorno prima, sicuramente vive e con abbondante acqua marina, questo
per essere sicuri che non ci sia sabbia, lasciandole a spurgare nella parte meno fredda del frigo a spurgare. Sciacquarle in acqua salata, osservandole una per una per scartare quelle palesemente aperte, perché morte.
Mettere a scaldare lentamente alla solita fiammella, regolata a mo' di candela, l'olio con l'aglio affettato e due rametti sani di prezzemolo.
Solo quando l'aglio sarà dorato si aggiungono i quattro pomodorini freschi o conservati la precedente estate mettendoli in barattolo e bollendoli per venti minuti dalla partenza dell'ebollizione.


Si schiacciano i pomodori, favorendone il disfacimento, si alza la fiamma al massimo e si versano le telline, lasciando che si aprano a tegame coperto.
Intanto si è fatta bollire l'acqua della pasta, che si butta contemporaneamente alle telline. Si sala ovviamente solo la pasta, per la salsa sarà sufficiente il sale contenuto nelle telline.
Quando la pasta è quasi cotta la si scola e si aggiunge alle telline da cui si è tolto il prezzemolo, che rischia ormai di disfarsi, rimestando a fuoco vivo ed aggiungendo, se necessario, un pochino d'acqua di cottura la si completa.

Per la conclusione del piatto non occorre altro che del pepe nero appena macinato e prezzemolo, ben asciutto, finemente tritato.
Omettendo o meno il pepe si può anche usare il peperoncino piccante, con moderazione è anche adatto a questo piatto.

Quand'ero piccolo mi piaceva togliere tutte le bucce delle Telline, essendo un piatto prettamente estivo, non si correva granché il rischio che si freddasse, così poi potevo mangiare senza porre attenzione.

Questo blog non rappresenta ad alcun titolo una testata giornalistica, in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità.Il blog declina ogni resposabilità nel caso in cui la gratuità dei siti consigliati venisse meno.Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della Legge n. 62 del 07 marzo 2001.Alcune immagini e articoli presenti in questo blog sono state ottenute via Internet e come tali ritenute di pubblico dominio: di conseguenza, sono state usate senza nessuna intenzione di infrangere copyright.


Tutti i diritti relativi a fotografie, testi e immagini presenti su questo blog sono di nostra esclusiva proprietà, come da copyright inserito e non è autorizzato l'utilizzo di alcuna foto o testo in siti o in spazi non espressamente autorizzati da noi